Cassazione penale, sezione II, sentenza 28 febbraio 2019, n. 8788 -Riciclaggio
Prima di soffermarci sulla, interessante, pronuncia resa dalla Suprema Corte, è opportuno qui ricordare che lart. 648 bis, c.p., sotto la rubrica riciclaggio, punisce con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da euro 5.000 a euro 25.000 fuori dei casi di concorso nel reato, la condotta di chiunque sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto non colposo, ovvero compie in relazione ad essi altre operazioni, in modo da ostacolare l′identificazione della loro provenienza delittuosa. La pena è aumentata quando il fatto è commesso nell′esercizio di un′attività professionale. La pena è invece diminuita se il denaro, i beni o le altre utilità provengono da delitto per il quale è stabilita la pena della reclusione inferiore nel massimo a cinque anni. Si applica l′ultimo comma dell′articolo 648. Il riciclaggio non è reato di evento, bensì di mera condotta, più precisamente di condotta pericolosa (Zanchetti, Il riciclaggio, 365, nonché Mangione, Mercati finanziari e criminalità organizzata: spunti problematici sui recenti interventi normativi di contrasto al riciclaggio, in RIDPP, 2000, 1136); e la pericolosità è rivelata dalla sua idoneità ad ostacolare in concreto l′identificazione della provenienza delittuosa dell′oggetto del reato. Integra pertanto l′elemento oggettivo del reato di riciclaggio di un bene mobile registrato di provenienza delittuosa non solo l′alterazione o soppressione dei suoi dati identificativi, ma anche la completa trasformazione della sua identità fisica e funzionale (Cass. pen. sez. II, 3/11/2016, n. 46321, in un caso di trasformazione di un semirimorchio di provenienza illecita in una giostra). AI riguardo e stato chiarito che nella definizione della condotta tipica del delitto di riciclaggio previsto e punito dall′art. 648 bis c.p., il legislatore ha individuato distinte categorie di atti materiali e giuridici: quelli che hanno ad oggetto la sostituzione, in senso fisico, del denaro, dei beni o delle altre utilità che risultino di provenienza delittuosa; gli atti di trasferimento, mediante negozi giuridici, delle medesime cose considerate dalla norma; infine, la categoria residuale, destinata a garantire la massima estensione della tutela, che individua ogni altra operazione, materiale o giuridica, che abbia la finalità (comune anche alle altre categorie di atti) di ostacolare l′individuazione della provenienza delittuosa. Alla stregua della definizione contenuta nella norma, e evidente che la condotta realizzata mediante l′esecuzione di un′operazione volta a ostacolare la provenienza delittuosa delinea una tipologia di reato a forma libera, la quale deve risultare caratterizzata dal tipico effetto dissimulatorio, avendo l′obbiettivo di ostacolare l′accertamento dell′origine delittuosa del denaro o del bene (Cass. pen. sez. II, n. 39756 del 05/10/2011, CED Cass. 251194). In linea con tale inquadramento e considerando l′interesse tutelato dalla norma, si e affermato che il delitto di riciclaggio ricorre anche nell′ipotesi in cui il compimento delle operazioni, pur non impedendolo in modo definitivo, sia comunque idoneo a rendere difficile l′accertamento della provenienza del denaro, dei beni o delle altre utilità (Cass. pen. sez. II, n. 52549 del 20/10/2017, CED Cass. 271530). Tanto premesso, nel caso in esame, l′imputato era stato condannato per riciclaggio per essere stato sorpreso a bordo di un ciclomotore con targa appartenente ad altro mezzo. Ricorrendo in Cassazione, l′imputato sosteneva l′erroneità della sentenza in relazione alla ritenuta sussistenza del delitto di riciclaggio, in luogo della violazione amministrativa di cui all′art. 97 del Codice della Strada che punisce chi circola con un ciclomotore munito di targa non propria. Inoltre, sosteneva l′imputato, l′avere apposto il targhino appartenente ad altro ciclomotore non avrebbe reso difficoltosa l′identificazione della provenienza delittuosa del veicolo sul quale il targhino era stato apposto. Infatti, tale difformità era stata immediatamente rilevata dagli operanti ed in ogni caso, data la non falsità del targhino e dei documenti, non si verteva in ipotesi di riciclaggio non essendo stata eseguita alcuna operazione di camuffamento del bene. La Cassazione, nell′enunciare il principio di cui in massima, ricordando la giurisprudenza dinanzi citata, ha evidenziato come è stato più volte affermato che configura il delitto di riciclaggio anche la mera sostituzione della targa di un autoveicolo proveniente da furto, in quanto si tratta di condotta univocamente diretta ad ostacolare l′identificazione delittuosa dell′autovettura (da ultimo, Cass. pen. sez. II, n. 56391 del 23/11/2017, CED Cass. 271553; Cass. pen. sez. II, n. 30842 del 03/04/2013, CED Cass. 257059; Cass. pen. sez. II, n. 44305 del 25/10/2005, CED Cass. 232770), e ciò perchè la targa di un′autovettura costituisce il più significativo, immediato ed utile dato di collegamento della res con il proprietario che ne e stato spogliato (cosi gia Cass. pen. sez. II, n. 9026 del 11/06/1997, CED Cass. 208747). I principi su esposti operano per i Supremi Giudici anche in relazione alla condotta del soggetto che, ricevuto un ciclomotore o altro veicolo di provenienza delittuosa per il quale e necessaria, ai fini della legittima circolazione, la dotazione della targa indicata dall′art. 97 d. Igs. 285/1992, vi apponga la targa di sua proprieta, in quanto attraverso tale condotta si produce l′effetto di ostacolo all′identificazione della provenienza del bene, che la norma intende sanzionare. L′apposizione della targa personale, su di un veicolo di provenienza illecita, costituisce infatti un primo ostacolo all′individuazione della provenienza del mezzo, fornendo un′apparenza di legittima disponibilità del veicolo al soggetto che abbia apposto la targa sul ciclomotore. Infatti, la disciplina prevista dall′art. 97 d. lgs. n. 285/1992 richiede per la circolazione dei ciclomotori determinate formalità tra le quali sono comprese il possesso del certificato di circolazione (contenente i dati di identificazione e costruttivi del veicolo, nonchè quelli della targa e dell′intestatario) e della targa, che identifica l′intestatario del certificato di circolazione. La circostanza dedotta dallìimputato, secondo cui la targa e personale, non esclude che essa concorra ad identificare la provenienza del veicolo; infatti la targa e abbinata ad un solo veicolo (art. 97, comma 2) e, per tale ragione, il titolare la trattiene in caso di vendita del ciclomotore; la targa, dunque, concorre nell′individuare il ciclomotore e, quindi, la sua provenienza (come e confermato dalla stessa disposizione, al comma 3: ciascun ciclomotore e individuato nell′Archivio nazionale dei veicoli (...), da una scheda elettronica, contenente il numero di targa, il nominativo del suo titolare, i dati costruttivi e di identificazione di tutti i veicoli di cui, nel tempo, il titolare della targa sia risultato intestatario, con l′indicazione della data e dell′ora di ciascuna variazione d′intestazione). Pertanto, la motivazione della sentenza è stata ritenuta del tutto corretta nella parte in cui ha affermato che e l′apposizione della targa e non la sua falsificazione, ad integrare il delitto (emergendo, in ogni caso, l′incompatibilità giuridica tra la titolarità della targa e quella del veicolo su cui viene apposta). Da qui, dunque, l′inammissibilità del ricorso.