Cassazione Penale, sez. III, sentenza 20 maggio 2019, n. 23808
Privacy - Violazione privacy: non è reato produrre dati sensibili in un giudizio civile. Un soggetto aveva denunciato il padre per avere prodotto in giudizio la documentazione sanitaria relativa a una grave patologia psichiatrica che lo riguardava. Il genitore aveva presentato la documentazione relativa alla malattia del figlio per giustificare l′infondatezza della pretesa creditoria dello stesso, la quale rappresentava loggetto del processo. La Corte territoriale aveva negato che la sussistenza del reato fosse da ritenersi esclusa per avere limputato legittimamente esercitato il proprio diritto alla difesa nel giudizio civile, ritenendo insussistente il necessario requisito del nocumento.In particolare, i giudici del gravame hanno posto in evidenza come la produzione della documentazione medica fosse avvenuta esercitando il diritto di difesa senza il rispetto dei doveri di correttezza, pertinenza e non eccedenza stabiliti dalla legge, in quanto ultronea rispetto agli altri argomenti spesi per negare la sussistenza del credito, perché finalizzata a dimostrare quelle che, secondo limputato, sarebbero state le reali ragioni per le quali era stato promosso il giudizio civile. Il denunciante propose ricorso ritenendo che la diffusione di tale documentazione determinava un danno di natura non patrimoniale conseguente alla diffusione di dati afferenti alla sfera intima, nonché un danno patrimoniale, per avere indotto il convenuto opposto ad addivenire ad una transazione al fine di evitare la inevitabile soccombenza processuale. Per la Corte di Cassazione occorre la prova del danno per configurare il reato di violazione dei dati personali, non essendo sufficiente la mera diffusione di dati sensibili a fini difensivi nellambito di un processo civile. Con la Sentenza de qua la Corte di Cassazione ha stabilito che il necessario requisito del nocumento richiesto per la configurazione del reato ai sensi dell′art. 167 D.Lgs. 196/2003 non può ritenersi sussistente, in caso di produzione in un giudizio civile di documenti contenenti dati personali, ancorché effettuata al di fuori dei limiti consentiti per il corretto esercizio del diritto di difesa, in assenza di elementi fattuali oggettivamente indicativi di una effettiva lesione dell′interesse protetto, trattandosi di informazioni la cui cognizione è normalmente riservata e circoscritta ai soli soggetti professionalmente coinvolti nella vicenda processuale, sui quali incombe l′obbligo di riservatezza. La decisione dei giudici si riferisce alla formulazione normativa antecedente alla riforma del Codice Privacy, avvenuta con il D.Lgs. 10 agosto 2018, n. 101, che richiede tuttora il requisito del nocumento, con lulteriore specificazione, rispetto al passato, che lo stesso deve essere arrecato allinteressato.Al contempo occorre ricordare che, come chiarito dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, nel reato di trattamento illecito di dati personali previsto dallart. 167, il nocumento è costituito dal pregiudizio, anche di natura non patrimoniale, subito dalla persona cui si riferiscono i dati quale conseguenza dellillecito trattamento.Nel caso analizzato, i giudici di secondo grado, rilevarono già che le informazioni prodotte dal genitore erano riservate e circoscritte a soli soggetti professionalmente coinvolti nella vicenda. Tuttavia il ricorrente, senza confrontarsi con tali argomentazioni, oppone ad esse generiche ed apodittiche considerazioni, riferendosi, genericamente, ad un non meglio specificato danno non patrimoniale conseguente allaver visto diffuso dati afferenti la sfera più intima della persona, nonché ad un danno patrimoniale derivante dallaver indotto la controparte ad una transazione, al 50%, della vertenza giudiziaria per evitare la più che probabile soccombenza processuale. Secondo i giudici non era comprensibile come tali elementi, prospettati dal ricorrente, potessero essere logicamente correlati, alla impossibilità di un suo reinserimento nel mondo del lavoro allesito del giudizio civile. La Cassazione, in linea con linterpretazione dei giudici di secondo grado, ha affermato che il necessario requisito del nocumento richiesto per la configurazione del reato ai sensi dellart.167 del D.Lgs. n. 196 del 2003, non può ritenersi sussistente, in caso di produzione nel giudizio civile di documenti contenenti dati personali, ancorché effettuata al di fuori dei limiti consentiti per il corretto esercizio del diritto di difesa, in assenza di elementi fattuali oggettivamente indicativi di una effettiva lesione dellinteresse protetto, trattandosi di informazioni la cui cognizione è normalmente riservata e circoscritta ai soli soggetti professionalmente coinvolti nella vicenda processuale, sui quali incombe un obbligo di riservatezza.E bene evidenziare come nella normativa attuale in tema di protezione dei dati personali, ovvero il Regolamento europeo 2016/679 (GDPR), non si fa più espresso richiamo ai c.d. dati sensibili bensì alle categorie particolari di dati personali ai sensi dellart. 9 GDPR. Il trattamento di tali dati è lecito in presenza di un numero limitato di condizioni, essendo gli stessi, soggetti a un principio del divieto di trattamento. I dati di cui allart. 9 GDPR rilevano l′origine razziale o etnica, le opinioni politiche, le convinzioni religiose o filosofiche, o l′appartenenza sindacale, i dati genetici, dati biometrici intesi a identificare in modo univoco una persona fisica, dati relativi alla salute o alla vita sessuale o all′orientamento sessuale della persona. Tali dati per loro natura, possono presentare in fase di trattamento un rischio per gli interessati e pertanto devono godere di una maggiore protezione.