Cassazione penale, sezione II, sentenza 9 aprile 2019, n. 15601 - Truffa -
Prima di soffermarci sulla, interessante, pronuncia resa dalla Suprema Corte, è opportuno qui ricordare che l′art. 640, c.p., sotto la rubrica Truffa, punisce con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 51 a euro 1.032 la condotta di chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno.
Con particolare riferimento a fatti analoghi a quello oggetto dell′odierna vicenda processuale, la Cassazione è consolidata nel ritenere che integrato il delitto di truffa e non quello di insolvenza fraudolenta, per la presenza di raggiri finalizzati ad evitare il pagamento del pedaggio, la condotta di chi transita con l′autoveicolo attraverso il varco autostradale riservato ai possessori di tessera Viacard pur essendo sprovvisto di detta tessera (da ultimo: Cass. pen. sez. VII, Ordinanza n. 33299 del 18/07/2018, C. CED Cass. 273701; fattispecie relativa ad autotrasportatore che, in più occasioni, impegnava il varco riservato ai clienti Viacard e si faceva rilasciare dall′operatore il biglietto di mancato pagamento che gli consentiva di guadagnare l′uscita, così dando a intendere di aver impegnato la corsia sbagliata o di avere dimenticato il titolo di pagamento).
Si addebitava all′imputata di avere in più occasioni eluso il controllo e il conseguente pagamento del pedaggio autostradale mediante un sistema fraudolento, consistito nell′utilizzare le piste riservate al pagamento con Telepass, senza essere dotata del necessario dispositivo, accostandosi immediatamente dietro ad altro veicolo regolarmente dotato del meccanismo e cosi riuscendo a passare prima che la sbarra si abbassasse. Ricorrendo in Cassazione, l′imputata sosteneva che erroneamente la Corte d′appello aveva fondato il giudizio di colpevolezza dell′imputata sulla mera costatazione che costei fosse la proprietaria dell′autovettura fotografata ai caselli autostradali, in assenza di alcuna prova circa l′identificazione del soggetto alla guida del veicolo. Lamentava, quindi, che, secondo l′assunto della Corte, l′incontestata titolarità della proprietà della vettura intercettata ai caselli faceva sorgere a carico della proprietaria una presunzione di colpevolezza, che la stessa non aveva in alcun modo contrastato, mantenendosi contumace nel giudizio. Cosi facendo la Corte d′appello aveva finito per sovvertire i principi costituzionali secondo cui la responsabilità penale e personale e un soggetto può essere ritenuto colpevole solo quando ne si dimostri la responsabilità, al di la di ogni ragionevole dubbio. La Corte d′appello, in conclusione, a fronte di un mero unico indizio in ordine alla responsabilità dell′imputata, in carenza di qualsivoglia altro elemento, ne aveva affermato la sua colpevolezza, sulla base di una erronea interpretazione del disposto dell′articolo 373 disp. att. Codice della strada.
La Cassazione, nel respingere la tesi difensiva, ha affermato il principio di cui sopra, svolgendo alcuna interessanti considerazioni. In fatto, ha preso atto che il Tribunale aveva affermato che la registrazione al PRA dell′autovettura costituisce una presunzione di appartenenza dell′auto al proprietario, che aveva l′onere di dimostrare che non era alla guida dell′auto, mentre l′imputata non aveva mai risposto alle diverse contestazioni a lei sollevate con comunicazioni della società Autostrade. La contestazione difensiva, peraltro, si fondava sulla circostanza per cui l′art. 373 cit. non fa sorgere alcuna presunzione di colpevolezza e attiene esclusivamente alla solidarietà del proprietario del veicolo e del conducente in merito alla responsabilità amministrativa. Orbene, la Cassazione ha replicato affermando che la titolarità della vettura induce a ritenere, secondo una massima di esperienza, che il proprietario ne abbia la disponibilità.
Ricordano i Supremi Giudici che le massime di esperienza sono generalizzazioni empiriche indipendenti dal caso concreto, fondate su ripetute esperienze ma autonome e sono tratte, con procedimento induttivo, dall′esperienza comune, conformemente ad orientamenti diffusi nella cultura e nel contesto spazio-temporale in cui matura la decisione, in quanto non si risolvono in semplici illazioni o in criteri meramente intuitivi o addirittura contrastanti con conoscenze o parametri riconosciuti e non controversi (Cass. pen. sez. II, n. 51818 del 30/12/2013, B., CED Cass. 258117). La stessa Cassazione ha avuto modo di precisare che il ricorso al criterio di verosimiglianza e alle massime d′esperienza conferisce al dato preso in esame valore di prova solo se può escludersi plausibilmente ogni spiegazione alternativa che invalidi l′ipotesi all′apparenza piu verosimile (Cass. pen. sez. IV, n. 22790 del 22/05/2018, M., CED Cass. 272995). Inoltre e stato precisato che ai fini della prova indiziaria possono essere utilizzati anche elementi negativi, purchè offrano un dato conoscitivo certo, convincente e non generico (Cass. pen. sez. VI, n. 47541 del 29/11/2013, L., CED Cass. 257711). Nel caso in esame, ha osservato la S.C., l′imputata non aveva ritenuto mai di rispondere alle numerose contestazioni che le erano state sollevate in merito alle violazioni poste in essere dall′autovettura di cui la stessa risultava essere proprietaria. Deve convenirsi aggiunge la Cassazione - con quanto sostenuto dall′imputata, secondo cui nell′ordinamento processuale penale, non e previsto un onere probatorio a carico dell′imputato, modellato sui principi propri del processo civile, ma non va trascurato che secondo consolidata giurisprudenza e prospettabile un onere di allegazione, in virtù del quale l′imputato e tenuto a fornire all′ufficio le indicazioni e gli elementi necessari all′accertamento di fatti e circostanze ignoti che siano idonei, ove riscontrati, a volgere il giudizio in suo favore (Cass. pen. sez. V, n. 32937 del 24/07/2014, S., CED Cass. 261657). Tra questi fatti oltre a quelli che escludono la punibilità di una condotta che realizza, in tutti i suoi elementi positivi, una fattispecie criminosa (quali possono essere le cause di giustificazione, il caso fortuito, la forza maggiore, il costringimento fisico e l′errore di fatto) devono farsi rientrare anche quelli che, pur attenendo alla intrinseca struttura oggettiva e soggettiva del reato, rivestano carattere di eccezionalità ed atipicità rispetto al normale svolgersi delle vicende umane (Cass. pen. sez. II, n. 20171 del 10/05/2013, W. e altro, CED Cass. 255916).
Nel caso in esame, puntualizza la S.C., la Corte d′appello aveva correttamente evidenziato che l′imputata non aveva fornito alcuna spiegazione alternativa in merito alla disponibilità dell′autovettura di sua proprietà, che in diverse occasioni transitava fraudolentemente nei passaggi destinati ai veicoli muniti di telepass. Sicchè, secondo una comune massima di esperienza, non contrastata in alcun modo dall′imputata che aveva preferito rimanere contumace, deve ritenersi per i Supremi Giudici che la stessa avesse la disponibilità effettiva dell′autovettura utilizzata per realizzare la truffa in diverse occasioni, donde del tutto irrilevante si presentava l′errato riferimento operato dalla Corte d′appello all′art. 373, disp. att. CdS.
Da qui, dunque, l′infondatezza della tesi difensiva.